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Ma si può mettere una laureanda di Italianistica a giocare con i Lego®?

Marzo 2019, ero a pochi mesi dalla fine del mio percorso universitario ma avevo un ultimo ostacolo da affrontare, il tirocinio. Sono una studentessa della Magistrale in Italianistica, dove, in sintesi, si studia la lingua e la letteratura italiana. Tradizionalmente, la mia facoltà prevede lo svolgimento del tirocinio all’interno delle scuole, ma in cuor mio sapevo che non sarebbe mai stata la mia strada. Panico!

Si, il panico era l’unica costante di quelle giornate, dovevo fare una scelta, non potevo più rimandare. Il problema di noi studenti delle scienze umanistiche è che siamo convinti che possiamo fare delle scelte di tirocinio e di conseguenza lavorative molto limitate. ‘Se studi Lettere è perché un giorno dovrai insegnare’, mi è stato ripetuto per 5 anni, ma vi assicuro che non è così.

Molto spesso non ci rendiamo neanche conto di cosa ci circonda, ed io non mi ero resa conto che la società contemporanea è rivolta a un nuovo mondo, il mondo digitale. Mi sono avvicinata a questa nuova realtà grazie all’esame di ‘Social Media Marketing’, tre parole che per me non avevano alcun senso, ma che in qualche modo avevano stuzzicato la mia curiosità.

Studiando questa materia ho capito quanto, nel XXI secolo, i social media abbiano importanza, e che non servono solo per postare le nostre foto in vacanza o in discoteca. I social media sono il nuovo canale di comunicazione, e di conseguenza il canale più immediato per fare pubblicità. Assurdo no? Fino a quel giorno guardavo Facebook, Instagram, Twitter semplicemente come delle app che mi facevano rimanere in contatto costante con il resto del mondo e non come strumenti che ti offrono nuove opportunità di lavoro. Diciamo che, pur di non fare il tirocinio nelle scuole ho deciso di catapultarmi in un ambiente che mi era del tutto sconosciuto, quello della Comunicazione.

Finalmente decido di fare domanda di tirocinio nell’Agenzia di Media Digitali ‘Mimulus’ e così prendo appuntamento con il prof. Cobianchi per fare una sorta di colloquio. Entro in ufficio e noto una cosa molto strana… il tavolo era letteralmente sommerso da Lego. Non vedevo bambini in giro, nella stanza c’eravamo solo io e il prof e non riuscivo a capire il senso della presenza di quei giochini in una Web Agency.

Durante il colloquio non potevo fare a meno di toccare i Lego, ero un po’ imbarazzata, ho perfino pensato fosse un test, ma vedendo che il prof costruiva con nonchalance, io ho fatto di conseguenza. -‘Sai cos’è Lego® Serious Play®?’- mi ha chiesto. Ovviamente la mia risposta è stata ‘NO’. Tramite la costruzione di modellini 3D, il prof. mi ha spiegato che questa è una metodologia, che si sta diffondendo di recente in Italia, utilizzata nelle aziende per stimolare il pensiero creativo delle persone, per favorire il lavoro in team.

La prima cosa che ho pensato è: dopo aver trascorso ben 18 anni della mia vita a studiare Virgilio, Dante, Leopardi… ora mi ritrovo a giocare con i lego…che paradosso! La cosa in realtà non mi dispiaceva, perché, se anche i manager di aziende giocano con i lego durante i loro meeting, per quale motivo non avrei potuto farlo anche io?

Mi sono avvicinata a questa metodologia per curiosità, ma anche perché era alla base del mio tirocinio e quindi non avevo via di scampo. In realtà trovo l’utilizzo dei Lego un’ottima soluzione per lavorare in modo divertente, per scambiare idee con altri e riuscire a dare un significato a quelle idee che non riescono a venire fuori da sole.

Alla domanda ‘ma si può mettere una laureanda di Italianistica a giocare con i Lego?’, rispondo con un secco SI. È importante imparare a gestire un progetto, che sia universitario o lavorativo, equilibrando il lavoro con il gioco, e con ‘gioco’ in questo caso non intendo ‘perdere del tempo’, ma proiettare le proprie idee su questi giochini che ci danno la possibilità di dare una forma immediata alle cose che pensiamo. La prima cosa che ho imparato è che nessuna idea è stupida nel momento in cui riesci a dargli una forma e una direzione.

 


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